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Sul filo di lana oppure sul filo del rasoio ?

" Resistenza e Resilienza "

Il paradosso della Resistenza italiana (caso unico nelle democrazie occidentali) è quello di aver dovuto giustificare se stessa per i successivi 73 anni dalla Liberazione dal nazifascismo nello stesso Paese, che pure il fascismo lo aveva inventato nonché esportato (e che per questo dovrebbe almeno mostrare un po' più di pudore).

Perché la Resistenza stava lì, con la sua testimonianza cruda e vitale, a ricordarne le complicità e la pusillanimità, di quanti per ignavia preferirono non scegliere o che per opportunismo si schierarono con il vincitore del momento, ma solo 'dopo', affinché tutto cambiasse per rimanere com'è.

Per questo il massimo problema non è mai stata la defascistizzazione dello Stato (e della società italiana), ma la rimozione stizzita e reiterata dell'esperienza resistenziale, che nel suo unicum ha sempre costituito un'anomalia nel panorama dei trasformismi e delle italiche convenienze.

Non potendo ancora essere cancellato, il ricordo della Liberazione è stato circoscritto (e sterilizzato) nelle celebrazioni formali di una 'festa' sempre più demistificata e svuotata del proprio significato reale, mentre viene costantemente infangata, denigrata, villipesa, dagli eredi di quel nazifascismo oggi pienamente riabilitato ed implicitamente ammesso ad un consesso istituzionale, che ne liquida certe manifestazioni 'estetiche' come boutade folkloristica.

Il tutto consumato nell'indifferenza, negli ammiccamenti, e nell'apatia di un popolo che sembra aver smarrito ogni valore, che non sia a dimensione tascabile o caricabile su formato touch-screen.

Per questo la Liberazione è un esercizio quotidiano della memoria e dello spirito, che nonostante tutto sopravvivono e massimamente resistono.


"Sento attorno a me le solite obiezioni.

Esiste ancora lo spirito della Resistenza?

E se esiste, non è esso alimentato da pochi e sparuti fedeli che sono una piccolissima minoranza di pazzi in una nazione di "savi"?

E infine, fossero pur molti i fedeli, non è la situazione di oggi tanto mutata da quella in cui la Resistenza operò, che è assurdo e inutile, pretendere di tramandarne lo spirito?
Rispondiamo.

Primo:
lo spirito della Resistenza non è morto.
E' morto in coloro che non l'hanno mai avuto e a cui del resto non lo abbiamo mai attribuito.
Che non sia morto è dimostrato dal fatto che non vi è grave evento della nostra vita nazionale in cui non si sia fatto sentire ora per elevare una protesta, ora per esprimere un ammonimento, ora per indicare la giusta strada della libertà e della giustizia.

Secondo:
che i devoti dello spirito della Resistenza fossero una minoranza, lo abbiamo sempre saputo e non ce ne siamo né spaventati né meravigliati.
In ogni nazione i savi, cioè i benpensanti, sono sempre la maggioranza;
i pazzi, cioè gli ardimentosi, sono sempre la minoranza.
Come al teatro:
quattro attori in scena e mille spettatori in platea, i quali non recitano né la parte principale né quella secondaria;
si accontentano di assistere allo spettacolo per vedere come va a finire e applaudono il vincitore.

Terzo:
sì, la situazione è cambiata, non c'è più la guerra, lo straniero in casa, il terrore nazista.
Ma quando invochiamo lo spirito della Resistenza, non esaltiamo soltanto il valore militare, le virtù del soldato che si esplica nella guerra combattuta, ma anche il valore civile, le virtù del cittadino di cui una nazione per mantenersi libera e giusta ha bisogno tutti i giorni, quella virtù civile che è fatta di coraggio, di prodezza, di spirito intrepido, ma anche, e più, di fierezza, di fermezza nel carattere, di perseveranza nei propositi, di inflessibilità.

Ciò che ha caratterizzato il partigiano è stata la sua figura di cittadino e insieme di soldato, una virtù militare sorretta e protetta da una virtù civile.

Non vi è nazione che possa reggere senza la virtù civile dei propri cittadini.

Ebbene l'ultima rivelazione di questa virtù è stata la lotta partigiana.
Lì la nazione deve attingere i suoi esempi, lì deve specchiarsi, lì troverà e lì soltanto, le ragioni della sua dignità, la consapevolezza della propria unità, la sicurezza del proprio destino."

Norberto Bobbio
(Torino, 25 Aprile 1957)


( Sendivogius )

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