da Bruxelles
Nello scorso mese di marzo è stato scoperto che Cambridge Analytica, società di analisi dei dati in cui Steve Bannon,
ex membro del Consiglio per la sicurezza nazionale americana e coordinatore della campagna elettorale di Trump,
aveva rivestito posizioni chiave, ha ottenuto i dati personali di milioni di cittadini europei
e americani tramite Facebook e li ha utilizzati illegalmente per influenzare l’esito della scorsa campagna elettorale
americana e del referendum sulla Brexit.
I numeri sono notevoli, parliamo infatti potenzialmente dei dati di 87 milioni di utenti, di cui circa 22 milioni di cittadini europei.
È stato ampiamente evidenziato come questa notizia faccia emergere delle gravi responsabilità da parte di Facebook,
ma credo sbaglieremmo a fermare qui la nostra analisi.
Credo infatti che la vicenda emersa metta in luce più in generale una grande sfida al nostro sistema democratico e ad alcuni dei principi
fondamentali dell’Unione Europea, quali anzitutto il diritto alla protezione dei dati personali e al rispetto della vita privata.
Da questo punto di vista lo scandalo Cambridge Analytica ha reso evidente la mancanza di una normativa efficace per la protezione
dei dati personali.
In tal senso ritengo però che il Regolamento Europeo per la protezione dei dati personali, che entrerà in vigore il 25 maggio, costituisca
un primo e importante passo avanti.
Tale Regolamento prevede infatti alcuni elementi significativi, come la possibilità per gli utenti di capire più efficacemente quali
società sono in possesso dei loro dati e per quali scopi vengono usati, l’introduzione di un meccanismo che facilita
il coordinamento tra le autorità nazionali degli Stati membri e la presenza di pesanti sanzioni pecuniarie per le società
che non rispettassero le nuove regole.
Ma non credo che la sfida politica sollevata da questo scandalo si esaurisca qui.
La riflessione sulle grandi piattaforme digitali coinvolge numerosi aspetti, dalle loro strategie fiscali elusive fino ai nuovi
rapporti di lavoro senza tutele e diritti che hanno creato.
La quantità enorme di dati aggregati che colossi come Google e Facebook hanno accumulato, e continuano incessantemente ad accumulare attraverso
l’utilizzo dei loro servizi in uno stato di sostanziale monopolio, apre in particolare un problema
molto significativo rispetto ad un utilizzo privato e con (legittimamente conseguenti) logiche di mercato
di informazioni che hanno invece un valore pubblico.
Un valore pubblico che deriva dalla necessità non soltanto di tutelare i dati personali
ma anche di garantire un utilizzo corretto e coerente con obiettivi di interesse pubblico delle informazioni raccolte.
Oggi siamo di fronte all’uso illecito di dati da parte di Cambridge Analytica e, giustamente, ne indaghiamo le responsabilità;
Penso infatti che questo episodio rappresenti
un’ulteriore sollecitazione per una riflessione più profonda su quello che è oggi uno spazio pubblico collettivo di dimensioni globali.
ma è l’esistenza stessa di una mole così consistente di dati aggregati capaci di tracciare un profilo preciso della vita
di ciascuno di noi a rendere ineludibile il problema di chi debba conservarli e soprattutto se l’utilizzo
di tali dati debba obbedire a una logica di profitto privato o piuttosto a criteri e valutazioni di interesse pubblico.
Nota dell'Editore
Il furto di informazioni da parte di Facebook, Google, Youtube, Twitter era noto da tempo, cosi' come l'acquisizone delle informazioni in grado di tracciare
le nostre abitudini, i nostri interessi, le nostre necessità, il nostro stato di salute.
Il 9 Aprile abbiamo messo in luce lo scopo "politico" di questa attività illecita: il controllare la nascita delle oponioni.
Il 4 Aprile, con l'articolo "la grande fuga" abbiamo dettagliato le attività illecite, note da anni, poste in essere da Google, Facebook, Youtube ai nostri danni.
Ecco il link:
http://www.topbtw.com/topbtw-1210.html
Ecco il link:
http://www.topbtw.com/topbtw-1205.html