ref:topbtw-1843.html/ 4 Dicembre 2019/A
Mestre -
L’Ufficio studi della CGIA ricorda che non siamo un Paese attrattivo per gli investitori stranieri.
Purtroppo, le tante problematiche a cui sono sottoposti quotidianamente i nostri imprenditori hanno innalzato nel tempo
una ipotetica barriera d’ingresso che “dirotta” altrove gli interessi degli investitori esteri.
D’altronde, con tante tasse, una burocrazia asfissiante, poca certezza del diritto, una giustizia civile
lenta e poco efficiente, tempi di pagamento della nostra Pubblica Amministrazione tra i più elevati
d’Europa e un deficit infrastrutturale spaventoso, non c’è da meravigliarsi se l’Italia si colloca
al penultimo posto nell’Unione Europea per gli Investimenti Diretti Esteri[1] (IDE).
Nel 2018, infatti, questi ultimi ammontavano al 20,5 per cento del Pil, pari a 361,1 miliardi di euro.
Tra i paesi dell’Unione Europea monitorati dall’OCSE, solo la Grecia registra un risultato peggiore del nostro.
Pertanto, con pochi investimenti stranieri e molte holding in procinto di lasciare l’Italia, come fa la politica
nazionale a sottovalutare questi segnali così preoccupanti?
Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo:
“Premesso che, ad esempio, ArcelorMittal, Embraco, Whirlpool e molte altre multinazionali non sono certo delle onlus,
ma delle realtà fortemente determinate a perseguire i propri interessi spesso in barba agli accordi
preventivamente sottoscritti con le parti sociali, è altrettanto evidente che le responsabilità di
un loro possibile addio vanno ricercate anche in un clima generale di avversione nei confronti delle
aziende presenti nel nostro Paese.
In Italia, infatti, si avverte in molti strati della società e della Pubblica Amministrazione
una cultura del sospetto verso gli imprenditori che condiziona negativamente la crescita e lo sviluppo.
Il peso e le difficolta delle multinazionali straniere presenti in Italia
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (anno 2017), le multinazionali, ovvero le imprese a controllo estero
residenti in Italia, sfiorano le 15.000 unita, danno lavoro a poco piu di 1.350.000 addetti e producono
572,3 miliardi di euro di fatturato all'anno
Sebbene siano sempre piu diffuse nel settore dei servizi e meno nel comparto industriale
asserisce il segretario della CGIA Renato Mason le multinazionali estere sono comunque una componente importante della
nostra economia, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto.
Ricordo, inoltre, che in termini di lavoro
queste realta occupano direttamente il 6 per cento circa di tutti gli addetti presenti in Italia e
concorrono a produrre poco piu del 17 per cento del fatturato nazionale
L'elenco delle big company straniere piu importanti che nel 2019 sono state al centro della cronaca sindacale sono:
ArcelorMittal (Taranto), Bekaert (Incisa Valdarno ¡V Fi), Bosch (Bari), ex-Embraco (Riva di Chieri ¡V To), Unilever (Verona)
e Whirlpool (Napoli).
Tra i grandi marchi del made in Italy¡¨ che stanno vivendo momenti difficili segnaliamo Alitalia (Roma),
Ferriera (Trieste), Gruppo Ferrarini (Reggio Emilia), La Perla (Bologna), Pernigotti (Novi Ligure Al) e Stefanel
(Ponte di Piave Tv).
Il caso Ikea:
incertezza e burocrazia bloccano le aperture ad Arese e Verona
Premesso che ¡V soprattutto nel Veneto ¡V non si sentiva certo l'esigenza di aprire un nuovo megastore,
il caso Ikea, scoppiato in queste ore, e comunque emblematico nell'evidenziare l¡¦avversione culturale che esiste nel
Paese nei confronti di chi fa impresa.
La multinazionale svedese ha deciso di rinunciare all'apertura di due nuovi punti vendita da 35-40 mila metri quadri
ad Arese e Verona.
Pare, stando alle indiscrezioni apparse sulla stampa specializzata, che le motivazioni di questo abbandono siano
riconducibili all'incertezza innescata dalla politica, che in piu di una circostanza ha ventilato l'ipotesi
di non consentire l'apertura domenicale e, in particolar modo per il progetto scaligero, i ritardi e i rinvii
accumulati in questi ultimi mesi per l’individuazione dell’area, a seguito dell’elevato numero di adempimenti
burocratici ed amministrativi sorti nel frattempo.
Insomma, un altro caso in cui la mancanza di certezza legislativa e le lungaggini burocratiche hanno fatto desistere
un investitore straniero.
Gli investimenti esteri premiano ancora il settore produttivo
Dei 372,1 miliardi di euro di IDE presenti nel nostro paese nel 2017, il 27,8 per cento circa (pari a 103,4 miliardi di euro)
ha interessato il settore manifatturiero (in particolar modo alimentari/bevande,
autoveicoli, metalli e prodotti di metallo, etc.).
Seguono la attività professionali, scientifiche e tecniche, in parte ascrivibili a consulenze aziendali di vario tipo,
che incidono per il 21,4 per cento (79,5 miliardi di euro) e il commercio e l’autoriparazione con il 10,8 per cento
(40 miliardi di euro).
Gli ambiti dove la presenza pubblica è più significativa sono anche quelli dove si registrano i livelli più bassi
di investimenti diretti esteri.
E’ il caso del settore artistico con 742 milioni, di quello riferito all’acqua, reti fognarie e rifiuti con 401 milioni
e nella sanità/assistenza sociale con 110 milioni di euro
da: CGIA Mestre