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ref:topbtw-1866.html/ 27 Dicembre 2019/A


Nuova burocrazia.
da 3.7 miliardi.


tutta a carico

delle Piccole e Medie Imprese..
L'ennesima follia ?

Mestre -

Nel 2020 il peso economico della burocrazia è destinato ad aumentare.

Tra gli adempimenti imposti dal nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza”, le nuove disposizioni sul contrasto all’omesso versamento delle ritenute Irpef dei dipendenti delle aziende che lavorano in subappalto e l’obbligo esteso a tutte le imprese di inviare telematicamente i corrispettivi, secondo l’Ufficio studi della CGIA le Pmi subiranno un aumento dei costi burocratici complessivi pari ad almeno 3,7 miliardi di euro.

Vediamo gli effetti delle singole misure…

Nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”

Per evitare il fallimento delle Pmi, il legislatore ha introdotto questo codice anticrisi che impone anche alle Srl di piccole dimensioni di nominare un organo di controllo composto o da un collegio sindacale o da un sindaco unico o da un revisore dei conti..

Operazione che obbliga, tra le altre cose, la modifica dello statuto societario. L’obbiettivo di questa misura:
Rilevare precocemente i primi segnali di crisi di una azienda attraverso la tempestiva adozione di misure idonee a superarla, quando possibile, o a regolarla, prima dell’insolvenza conclamata.

A seguito della legge delega del 19 ottobre 2017 n° 155 è stato approvato il D.Lgs n° 14 del 2019 che obbliga le Società di capitali (Spa e Srl) a nominare un organo di controllo societario, solo nel caso che per due esercizi consecutivi sia stato superato uno solo dei seguenti limiti:
valore totale dell’attivo patrimoniale di 4 milioni di euro; totale ricavi derivanti da vendite o prestazioni di 4 milioni di euro;
dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 20 unità.
La scadenza per la nomina dell’organo di controllo era prevista il 16 dicembre 2019

Siamo poi così sicuri che grazie a questo nuovo sistema di allerta, molte piccole imprese eviteranno di intraprendere la strada del fallimento.

Segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo:
“Sebbene potessero contare su un management di alto livello, sull’apporto di advisor esterni, sull’intervento dei collegi sindacali e sull’attività di vigilanza e di controllo dei tecnici della Banca d’Italia e della Consob, realtà come Banca Etruria, Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza, Monte dei Paschi di Siena, Carige e la Banca Popolare di Bari sono fallite o si trovano in una situazione particolarmente delicata.

Queste sono o erano degli istituti di credito con responsabilità economiche, sociali ed etiche molto superiori a quelle in capo ad una ipotetica Pmi e nonostante l’elevato numero di esperti contabili a disposizione hanno chiuso o sono state salvate in extremis, grazie all’intervento di soggetti esterni”.

In altri termini, si chiedono alla CGIA, siamo certi che questa misura, pur riconoscendole di avere nel DNA dei nobili propositi, alla fine non contribuirà ad attivare “solo” qualche consulenza aggiuntiva a tantissimi liberi professionisti ?

I costi per adempiere agli obblighi imposti dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” sono molto importanti:
secondo un’analisi condotta dal Cerved sulle micro e sulle le Pmi ammonterebbero complessivamente a 2,9 miliardi di euro anche se nel proseguo degli anni potrebbero far risparmiare al sistema economico del Paese circa 6 miliardi.

Tuttavia, se i costi iniziali sono certi, diversamente sarà molto difficile “quantificare” i vantaggi futuri legati agli ipotetici mancati fallimenti aziendali.

“Purtroppo, i tempi e i costi della burocrazia – afferma il segretario della CGIA Renato Mason – sono diventati un dramma che caratterizza negativamente una larga parte dell’economia del nostro Paese.

In particolar modo le nostre imprese, essendo prevalentemente di piccola dimensione, non dispongono di strutture amministrative interne in grado di fronteggiare queste problematiche, pertanto sono costrette a ricorrere a consulenze spesso molto onerose.

Altresì, le Pmi necessitano di un servizio pubblico efficiente ed economicamente vantaggioso, in cui le decisioni vengano prese senza ritardi e il destinatario sia in grado di valutare con certezza la durata delle procedure.
Cosa che, purtroppo, avviene sempre più di rado”.

Stretta sugli appalti: obbligo invio copia versamenti ritenute Irpef

Con il decreto fiscale collegato alla manovra di Bilancio 2020 che è stato approvato definitivamente nei giorni scorsi, viene ora disposto l’obbligo, per chi affida il compimento di un’opera o un servizio di importo annuo superiore a 200 mila euro, di richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltarici, copia degli attestati di versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte al personale impiegato nell’esecuzione delle opere o dei servizi affidati .

Adempimento, ricorda la CGIA, che ha l’obbiettivo di contrastare il mancato versamento delle ritenute Irpef dei dipendenti; irregolarità, quest’ultima, molto diffusa nelle filiere del settore edile.

In caso di mancata risposta, oppure se risultano omessi o insufficienti versamenti, il committente dovrà sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa.

Pertanto, queste disposizioni obbligheranno queste attività ad inviare le deleghe e le informazioni necessarie per verificare il versamento delle ritenute, ovviamente con costi aggiuntivi che l’Ufficio studi della CGIA stima in almeno 300 milioni di euro all’anno .

Operazione, tra l’altro, molto complessa, visto che l’alta flessibilità presente nel settore edile, ad esempio, porta moltissime piccole imprese a lavorare per più di un committente, anche nello stesso giorno.

Un carico di nuova burocrazia che poteva essere evitato introducendo, anche per le ritenute Irpef, la stessa procedura che utilizza l’Inps per verificare il corretto pagamento dei contributi previdenziali, ovvero il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva).

Per le ritenute, ovviamente, il referente pubblico non poteva che essere l’Agenzia delle Entrate.

Invio e memorizzazione telematica dei corrispettivi

Il Decreto legge n° 119 del 2018 ha introdotto l’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri all’Agenzia delle Entrate;
l’operazione dovrà essere eseguita anche dai commercianti al minuto, dagli artigiani e dai soggetti assimilati.

L’obbligo, entrato in vigore l’1 luglio 2019 per le aziende con fatturato superiore a 400.000 euro, viene esteso a tutti gli altri operatori a partire dal prossimo 1 gennaio 2020.

Per le piccole e micro aziende la memorizzazione e la trasmissione telematica dei corrispettivi dovranno essere effettuate tramite un registratore telematico.

Tra chi lo dovrà acquistare perché per legge fino ad ora non era obbligato ad averlo, chi lo dovrà sostituire o dovrà solo aggiornare quello attualmente in possesso, l’Ufficio studi della CGIA stima in 1.600.000 le unità produttive interessate dall’operazione.

Al netto dei benefici fiscali riconducibili all’ammortamento del costo, l’aggravio per ogni azienda è stimato in circa 300 euro.
Per adempiere a questo obbligo, pertanto, le piccole e micro aziende dovranno sostenere un costo complessivo una tantum di circa 480 milioni di euro.

Fino al 30 giugno 2020, comunque, sarà in vigore un periodo transitorio di sospensione delle sanzioni, pur essendo vigente l’obbligo dell’invio.

Sanzioni che, tuttavia, si applicheranno in caso di invio telematico dei dati sui corrispettivi oltre il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.


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