Questo sito web ed i sui contenuti sono esenti da cookie, pubblicità invasiva, occulta, subdola, eticamente scorretta e pure da files geneticamente modificati:
per una libera informazione in un libero Stato.

ref:topbtw-202.html/ 5 Febbraio 2016/C



( La Marseillaise. )
Per togliere l'audio premere il tasto con il quadratino.


5 Stelle: alla ricerca di Maximilien e di un nuovo 18 Piovoso.. 222 anni anni dopo.

Sono passati duecento e ventidue anni ormai - 222 un numero magico ? - dal discorso di Miximilien..
Era infatti il 5 Febbraio - il 18 Piovoso - del non lontano anno 1794 quando veniva pronunciato.
Pochi mesi dopo, il 28 Luglio dello stesso anno, giusto 163 giorni dopo, anche Maximilien veniva ghigliottinato dalla sua stessa rivoluzione..
Ed alcuni brani sono di vera attualità.. pentastellata..

"La democrazia perisce a causa di due eccessi:
l’atteggiamento aristocratico di coloro che governano;
oppure il disprezzo del popolo per le autorità che esso stesso ha costituito:
disprezzo che può far sì che qualsiasi consorteria, o che qualsiasi individuo attiri a sé il pubblico potere,
e conduca il popolo, attraverso gli eccessi del disordine, all’annientamento, oppure al potere di una sola persona."

"I furfanti – anche quando si fanno la guerra tra loro – si odiano molto meno di quanto detestino la gente onesta.
La patria è la loro preda; si combattono per dividersela:
ma si alleano contro coloro che la difendono."

" La lentezza dei giudizi equivale all’impunità;
l’incertezza della pena incoraggia tutti i colpevoli."

Grillo si sposta "da parte", Casaleggio si sposta sul Web, ma Maximilien dov'é ?

Non se ne vede proprio nessuno all'orizzonte..
Forse per timore di essere ghigliottinato anche lui, subito dopo ?
Magari dopo.. solo 163 giorni di gloria ?



Sui princìpi di morale politica che devono guidare la Convenzione nazionale nell’amministrazione interna della Repubblica

Maximilen Robespierre (1758-1794)

Discorso pronunciato il 18 piovoso, anno II (5 febbraio 1794).

Il testo originale è in Oeuvres de Maximilien Robespierre, Société des études robespierristes, Parigi, 1961-1967, a cura, fra gli altri, di Marc Bouloiseau, Georges Lefebvre e Albert Soboul, v. X, pp. 350-366;
il testo italiano è in Maximilien Robespierre, La rivoluzione giacobina, a cura di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 158-181.

Cittadini, rappresentanti del popolo!

Qualche tempo fa, abbiamo esposto i princìpi della nostra politica estera:
oggi svilupperemo i principi della nostra politica interna.

Dopo aver proceduto per lungo tempo a caso, e quasi portati dal movimento delle fazioni contrarie, i rappresentanti del popolo francese hanno finalmente mostrato un carattere ed un governo.

Un cambiamento repentino nelle sorti della nazione annunciò all’Europa la rigenerazione che era stata operata nella rappresentanza nazionale.

Ma, fino al momento preciso in cui io vi parlo, bisogna convenire che in circostanze tanto tempestose, siamo stati ben più guidati dall’amore per il bene e dall’intuizione dei bisogni della patria, che non da una teoria esatta e da regole precise di condotta, che non avevamo neppure il tempo disponibile per poter tracciare.

È tempo dunque di determinare con esattezza lo scopo della rivoluzione ed il termine cui vogliamo giungere.
È ormai tempo di renderci ben conto sia degli ostacoli che ancora ci allontanano da esso, sia degli strumenti che dobbiamo adottare per raggiungerlo:
un’idea semplice ma importante, e che mi sembra non sia stata ancora mai individuata.

E del resto come avrebbe fatto mai a realizzarla un governo vile e corrotto?

Un re, un senato orgoglioso, un Cesare, un Cromwell, devono innanzi tutto cercare di, coprire i loro progetti con un velo religioso, transigere con tutti i vizi possibili, far la corte a tutti i partiti, e schiacciare quello delle persone che vogliono realizzare il bene;
opprimere ed ingannare il popolo, per giungere al fine della loro perfida ambizione.

Se non avessimo avuto un compito ben più grande da adempiere, se non si fosse trattato qui di altro che degli interessi di una fazione o di una nuova aristocrazia, avremmo potuto anche credere, forse, – come credono alcuni scrittori ben più ignoranti che perversi, – che il piano della rivoluzione francese fosse già stato scritto interamente e in ogni punto nei libri di Tacito e di Machiavelli;
e avremmo cercato quindi quali siano i doveri dei rappresentanti del popolo nella storia di Augusto, di Tiberio o di Vespasiano, o addirittura in quella di certi legislatori francesi.

Poiché – salvo qualche sfumatura di perfidia o di crudeltà – tutti i tiranni si assomigliano tra loro.

Ma per quanto sta in noi, oggi affideremo al mondo intero i vostri segreti nel condurre la politica:
affinché tutti gli amici della patria possano accostarsi alla voce della ragione e dell’interesse pubblico;
affinché la nazione francese ed i suoi rappresentanti siano rispettati in tutti i paesi del mondo nei quali potrà giungere la conoscenza dei loro principi;
e affinché gli intriganti che in ogni tempo tentano di rimpiazzare altri intriganti siano giudicati secondo regole sicure e facili.

Occorre prendere molto tempo prima le proprie precauzioni per poter rimettere le sorti della libertà nelle mani della verità che è eterna – assai più che non in quelle degli uomini i quali passano –;
di maniera che, se il governo dimentica gli interessi del popolo, o se ricade nelle mani degli uomini corrotti, secondo il corso naturale delle cose, la luce dei princìpi riconosciuti possa illuminare i suoi tradimenti, ed ogni nuova fazione trovi la morte al solo pensiero del suo crimine.

Fortunato il popolo che può giungere fino a questo punto, poiché, quali che siano i nuovi oltraggi che gli si preparano, un ordine di cose dove la ragione pubblica è la garanzia della libertà gli concede risorse infinite!

Qual è lo scopo cui tendiamo?
Il pacifico godimento della libertà e dell’uguaglianza;
il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.

Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica e generosa sia ridestata dalle leggi;
nel quale l’ambizione sia il desiderio di meritare la gloria e di servire la patria;
ove le distinzioni non nascano altro che dalla stessa uguaglianza;
nel quale il cittadino sia sottomesso al magistrato, e il magistrato al popolo, e il popolo alla giustizia;
nel quale la patria assicuri il benessere ad ogni individuo, e nel quale ogni individuo goda con orgoglio della prosperità e della gloria della patria;
nel quale tutti gli animi si ingrandiscano con la continua comunione dei sentimenti repubblicani, e con l’esigenza di meritare la stima di un grande popolo;
nel quale le arti siano gli ornamenti della libertà che le nobilita, il commercio sia la fonte della ricchezza pubblica e non soltanto quella dell’opulenza mostruosa di alcune case.

Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo, l’onestà all’onore, i principi alle usanze, i doveri alle convenienze, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo per il vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della gloria all’amore del denaro, le persone buone alle buone compagnie, il merito all’intrigo, l’ingegno al bel esprit, la verità all’esteriorità, il fascino della felicità al tedio del piacere voluttuoso, la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei «grandi»;
ed un popolo magnanimo, potente, felice ad un popolo «amabile», frivolo e miserabile;
cioè tutte le virtù e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi ed a tutte le ridicolaggini della monarchia.

Noi vogliamo, in una parola, adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia.

Che la Francia, un tempo illustre in mezzo ai paesi schiavi, eclissando la gloria di tutti i popoli liberi che sono mai esistiti, possa divenire il modello delle nazioni, il terrore degli oppressori, la consolazione degli oppressi, l’ornamento dell’universo;
e che, sigillando la nostra opera con il nostro sangue, possiamo vedere almeno brillare l’aurora della felicità universale...

Ecco la nostra ambizione:
ecco il nostro scopo.

Quale tipo di governo può mai realizzare questi prodigi?
Solamente il governo democratico, ossia repubblicano.
Queste due parole sono sinonimi, malgrado gli equivoci del linguaggio comune: poiché infatti l’aristocrazia non è repubblica più di quanto non lo sia la monarchia.

La democrazia non è già uno Stato in cui il popolo – costantemente riunito – regola da se stesso tutti gli affari pubblici:
ed ancor meno è quello in cui centomila fazioni del popolo, con misure isolate, precipitose e contraddittorie, decidono la sorte dell’intera società.

Un simile governo non è mai esistito, né potrebbe esistere se non per ricondurre il popolo verso il dispotismo.

La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso.

È dunque nei principi del governo democratico che dovrete ricercare le regole per la vostra condotta politica.

Ma, per fondare e per consolidare la democrazia tra di noi, per poter giungere al regno pacifico delle leggi costituzionali, bisogna condurre a termine la guerra delle libertà contro la tirannia, ed attraversare con successo le tempeste della rivoluzione.

Tale è lo scopo del sistema rivoluzionario, che voi avete regolarizzato.

Dovete dunque ancora regolare la vostra condotta nelle circostanze tempestose in cui si trova la Repubblica:
ed il piano della vostra amministrazione dev’essere il risultato dello spirito rivoluzionario, combinato assieme ai princìpi generali della democrazia.

Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere?
È la virtù.

Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana.

Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi.

Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza.

Inoltre, quel sentimento, sublime presuppone la priorità dell’interesse pubblico su tutti gli interessi particolari:
da cui risulta che l’amor di patria presuppone anche – o produce esso stesso – tutte le virtù.
Infatti esse sono forse altra cosa che la forza dell’animo che rende capaci di questi sacrifici?
E come farebbe, per esempio, chi è schiavo dell’avarizia o dell’ambizione, ad immolare il suo idolo alla patria?

Non soltanto la virtù è l’anima della democrazia, ma addirittura essa può esistere solo in quella forma di governo.
Infatti, nella monarchia conosco solo un individuo che possa amare la patria, ma che, proprio per questo, non ha alcun bisogno della virtù:
il monarca.

La ragione di ciò è nel fatto che – tra tutti gli abitanti dei suoi Stati – il monarca è il solo ad avere una patria.
Non è lui, forse, il sovrano, almeno di fatto?
E non è forse lui ad occupare il posto del popolo?
E infatti, che cosa è mai la patria, se non il paese dove ognuno è cittadino e partecipe della sovranità?

Discende dallo stesso principio che, negli Stati aristocratici, la patria significa qualche cosa solo per le famiglie patrizie che hanno usurpato la sovranità.

Soltanto in un regime democratico lo Stato è veramente la patria di tutti gli individui che lo compongono e può contare tanti difensori interessati della sua causa, quanti sono i cittadini che esso contiene.

Ecco qui la fonte della superiorità dei popoli liberi su tutti gli altri popoli.
Se Atene e Sparta hanno trionfato sui tiranni dell’Asia, e gli svizzeri sui tiranni di Spagna e d’Austria, non occorre affatto cercare altra causa.

Ma i francesi sono il primo popolo del mondo che abbia instaurato la vera democrazia chiamando tutte le persone all’uguaglianza ed alla pienezza dei diritti del cittadino.

Ed è proprio qui, a mio avviso, la vera ragione per cui tutti i tiranni alleati contro la Repubblica verranno vinti.

Ora occorre trarre grandi conseguenze dai principi che abbiamo qui esposto.

Dato che l’anima della Repubblica è la virtù, l’uguaglianza, e dato che il vostro scopo è di fondare, di consolidare la Repubblica, ne consegue che la regola prima della vostra condotta politica dev’essere quella di indirizzare tutte le vostre opere al mantenimento dell’uguaglianza ed allo sviluppo della virtù:
poiché la cura principale del legislatore dev’essere quella di fortificare il principio su cui si fonda il suo potere di governo.

Così, tutte le cose che tendono ad eccitare l’amor di patria, a purificare i costumi, ad elevare gli spiriti, ad indirizzare le passioni del cuore umano verso l’interesse pubblico, devono essere da voi adottate ed instaurate.

Mentre tutte le cose che tendono a concentrare le passioni verso l’abiezione dell’io individuale, a risvegliare l’interesse per le piccole cause ed il disprezzo per quelle grandi, devono essere da voi respinte o represse.

Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario.

La debolezza, i vizi, i pregiudizi sono la strada della monarchia.

Trascinati forse troppo spesso dal peso delle nostre vecchie abitudini, così come dalla inclinazione insensibile della debolezza umana, verso le idee false e verso i sentimenti pusillanimi, dobbiamo difenderci non tanto dagli eccessi di vigore, quanto dagli eccessi di debolezza.

Forse il più grande scoglio che dobbiamo evitare non è già il fervore dello zelo, ma piuttosto il rilassamento nell’operare il bene e il timore del nostro stesso coraggio.

Tendete dunque incessantemente la sacra molla del governo repubblicano, invece di lasciarla cadere dalle mani.

Non ho bisogno di dirvi che non intendo qui giustificare alcun eccesso.
Si può abusare perfino dei principi più sacri.

E spetta alla saggezza del governo saper consultare le circostanze, cogliere il momento propizio, scegliere i mezzi idonei;
poiché la maniera con cui si preparano le grandi cose è una parte essenziale del talento di mandarle ad effetto, così come la saggezza è essa stessa una parte della virtù.

Non pretendiamo affatto di modellare la Repubblica francese su quella di Sparta;
non vogliamo darle né l’austerità né la corruzione dei chiostri.

Vi abbiamo presentato, in tutta la sua purezza, il fondamento morale e politico del governo popolare.
Avete dunque una bussola che può indicarvi la rotta in mezzo alle tempeste di tutte le passioni e in mezzo al turbine di tutti gli intrighi che vi circondano.

Avete la pietra di paragone con la quale potete saggiare tutte le vostre leggi, tutte le proposte che vi vengono fatte.
Paragonandole incessantemente con quel principio, potete ormai evitare lo, scoglio ordinario delle grandi assemblee:
il pericolo di sorprese e di misure troppo precipitose, incoerenti e contraddittorie.

Potete dare con essa a tutte le vostre opere la complessità, l’unità e la dignità che devono contraddistinguere i rappresentanti del primo popolo del mondo.

Non sono già le conseguenze – assai semplici – del principio di democrazia che occorre spiegare in dettaglio, bensì è il principio, semplice e fecondo che merita – esso stesso di essere qui sviluppato.

La virtù repubblicana può essere considerata sia in rapporto al popolo sia in rapporto al governo.
Essa è necessaria in entrambi i casi.
Poiché infatti quando il governo ne è privo, resta una valvola di sicurezza in quella del popolo;
ma quando il popolo stesso è corrotto, allora la libertà è ormai perduta.

Fortunatamente, la virtù è un dato naturale nel popolo, a dispetto di tutti i pregiudizi degli aristocratici.

Una nazione è veramente corrotta quando – dopo aver perduto, gradatamente, il suo carattere e la sua libertà – passa dalla democrazia all’aristocrazia, od alla monarchia.

Avviene allora la morte del corpo politico per decrepitezza.

Quando, dopo quattrocento anni di gloria, l’avarizia ha finalmente cacciato da Sparta i buoni costumi assieme alle leggi di Licurgo, Agis muore invano per restaurarli!

E Demostene ha un bel tuonare contro Filippo!
Filippo trova negli stessi vizi di Atene degenerata avvocati ben più eloquenti di Demostene.
Vi è bensì ancora, in Atene, una popolazione numerosa quanto ai tempi di Milziade e di Aristide:
ma non vi sono più veri ateniesi.

E che cosa importa mai che Bruto abbia ucciso il tiranno?
La tirannia sopravvive ancora nei cuori, e Roma non esiste più se non in Bruto.

Ma quando, con prodigiosi sforzi del coraggio e della ragione, un popolo sa spezzare le catene del dispotismo per farne trofei alla libertà;
quando, con la forza del suo, temperamento morale, esso esce, in qualche modo, dalle braccia della morte per riprendere tutto il vigore della sua giovinezza;
quando alternativamente sensibile e fiero, intrepido e docile, non può venire fermato né dai bastioni inespugnabili, né dagli eserciti innumerevoli dei tiranni armati contro di lui, e quando si ferma da se stesso dinanzi all’immagine della legge;
quando esso non si eleva rapidamente all’altezza dei suoi destini, ciò non potrà essere se non per l’errore di coloro che lo governano.

D’altra parte si può dire, in un certo senso, che, per amare la giustizia e l’uguaglianza, il popolo non ha bisogno neppure di una virtù tanto grande:
gli basterebbe poter amare se stesso.

Ma il magistrato – al contrario – è obbligato ad immolare i suoi interessi all’interesse del popolo;
e l’orgoglio del potere alla virtù dell’uguaglianza.

Occorre che la legge sappia parlare con autorità soprattutto a colui che ne è l’organo.
Occorre che il governo getti un peso sopra se stesso, per poter tenere unite tutte le sue parti in armonia con la legge.

Se esiste un corpo rappresentativo, una autorità principale, costituita dal popolo, spetta ad essa il compito di sorvegliare e di reprimere, incessantemente, tutti i funzionari pubblici.
Ma chi mai reprimerà quell’autorità, se non la sua virtù personale?

Più questa fonte donde deriva il potere pubblico è elevata di grado, e più dev’essere pura.
Bisogna dunque che il corpo rappresentativo cominci con il sottomettere all’interno di esso tutte le passioni individuali alla passione generale per il pubblico bene.

Fortunati quei rappresentanti che sono legati alla causa della libertà, dalla loro gloria e dal loro stesso interesse tanto quanto dai loro doveri!

Da tutto quanto precede, deduciamo una grande verità:
cioè che il carattere del governo popolare è quello di avere fiducia nel popolo e di essere severo verso se stesso.

Tutto lo sviluppo della nostra teoria si potrebbe limitare a questo, se doveste governare la nave della Repubblica solo nella calma.
Ma la tempesta infuria: e il momento della rivoluzione in cui vi trovate impone anche un altro compito.

La grande purezza dei fondamenti della rivoluzione francese, la sublimità stessa del suo oggetto, è precisamente ciò che ha fatto la nostra forza e la nostra debolezza.
La nostra forza, perché ci dà la superiorità della verità sopra l’impostura e dei diritti dell’interesse pubblico sopra quelli degli interessi particolari.

La nostra debolezza, perché allea contro di noi gli uomini viziosi, tutti coloro che meditavano nel loro cuore di spogliare il popolo e tutti quelli che vorrebbero averlo potuto spogliare impunemente;
sia quelli che hanno respinto la libertà come una calamità personale, sia quelli che hanno abbracciato la rivoluzione come un mestiere e la Repubblica come una preda.

Da qui la defezione di tante persone ambiziose od avide, le quali, dopo la partenza ci hanno abbandonato lungo il cammino, per il motivo che non avevano iniziato il viaggio con il nostro medesimo scopo.

Si direbbe quasi che i due geni contrari, che abbiamo rappresentato come disputantisi il dominio della natura, combattano in questa grande epoca della storia umana per fissare definitivamente i destini del mondo, e che proprio la Francia sia il teatro di questa terribile lotta.

Al di fuori tutti i tiranni vi circondano, all’interno tutti gli amici della tirannia cospirano:
cospirano finché al crimine non sia tolta perfino la speranza.

Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore.

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore.

La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta;
il terrore, senza il quale la virtù è impotente.

Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile.
Esso è dunque una emanazione della virtù.
È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria.

Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico.
Il vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo?
Sì, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi della libertà assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia.
Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti.
Egli ha ragione, come despota.
Domate pure con il terrore i nemici della libertà:
e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica.

Il governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia.
La forza non è dunque fatta che per proteggene il crimine?
E non è forse per colpire le teste orgogliose che il fulmine è destinato?

La natura impone ad ogni essere fisico o morale la legge di provvedere alla propria conservazione.
Il crimine uccide l’innocenza per regnare, e l’innocenza si dibatte con tutte le forze nelle mani del crimine.

Che la tirannia regni un giorno soltanto e l’indomani non resterà più un solo patriota.

Ma fino a quando il furore dei despoti sarà chiamato giustizia, e la giustizia del popolo barbarie o ribellione?
Come si è teneri verso gli oppressori e inesorabili verso gli oppressi!

Nulla di più naturale:
chiunque non odia il crimine non può amare la virtù.

Tuttavia, occorre che l’uno o l’altra soccomba.
«Indulgenza verso i realisti! – gridano certuni. –
Grazia per gli scellerati!»
No:
grazia per l’innocenza, grazia per i deboli, grazia per gli infelici, grazia per l’umanità!


La protezione sociale è dovuta solo ai cittadini pacifici.
E nella Repubblica non vi sono altri cittadini se non i repubblicani.
I realisti, i cospiratori, non sono che stranieri, per essa, o piuttosto dei nemici.

Questa guerra terribile che la libertà sta sostenendo contro la tirannia non è forse indivisibile?
I nemici dell’interno non sono forse alleati con i nemici dell’estero?

E gli assassini che lacerano la patria all’interno, gli intriganti che comprano le coscienze dei mandatari del popolo, i traditori che le vendono, i libellisti mercenari che sono assoldati per disonorare la causa del popolo, per far morire la virtù pubblica, per attizzare il fuoco delle discordie civili e per preparare la controrivoluzione politica per mezzo della controrivoluzione morale:
tutti questi individui sono forse meno colpevoli o meno pericolosi dei tiranni di cui stanno al servizio?

Tutti coloro che interpongono la loro dolcezza parricida tra quegli scellerati e la spada vendicatrice della giustizia nazionale rassomigliano a quelli che si gettassero tra gli sgherri dei tiranni e le baionette dei nostri soldati.

Tutti gli slanci della loro falsa sensibilità mi sembrano soltanto sospiri verso l’Inghilterra e verso l’Austria.

E se no, per chi mai dunque si intenerirebbero?
Forse per quei duecentomila eroi, il fiore della nazione, mietuti dal ferro dei nemici della libertà o dai pugnali degli assassini monarchici o federalisti?
No certo:
non erano che dei plebei, dei patrioti.
Per avere diritto al loro tenero interesse occorre invece essere per lo meno la vedova di un generale che ha tradito venti volte la patria;
per, ottenere la loro indulgenza bisogna quasi provare che si sono fatti immolare diecimila francesi, proprio come un generale romano, per ottenere il trionfo, doveva aver ucciso, mi sembra, diecimila nemici.

Bisogna aver del sangue freddo per ascoltare il resoconto degli orrori commessi dai tiranni contro i difensori della libertà.

Le nostre donne orribilmente mutilate;
i nostri figli massacrati proprio sul seno delle loro madri;
i nostri prigionieri costretti ad espiare in orribili tormenti il loro eroismo commovente e sublime.
E si osa denominare orribile macello la punizione – troppo lenta – di alcuni mostri che si sono ingrassati con il sangue più puro della nostra patria!

Si sopporta, con pazienza, la miseria delle cittadine generose che hanno sacrificato alla più bella delle cause i loro fratelli, i loro figli, i loro sposi:
ma si prodigano le più generose consolazioni alle donne dei cospiratori.

È ormai pacifico che esse possono impunemente sedurre la giustizia, patrocinare contro la libertà la causa dei loro parenti e dei loro complici.

Se ne è fatta quasi una corporazione privilegiata, creditrice e pensionata dal popolo.

Con quale bonomia noi siamo ancora lo zimbello delle parole!

L’aristocrazia ed il moderatismo ci governano ancora con le massime micidiali che ci hanno dato!

L’aristocrazia si difende meglio con i suoi intrighi, che non il patriottismo con i suoi servizi.
Si pretende di governare le rivoluzioni con le arguzie di palazzo;
si trattano le cospirazioni contro la Repubblica come se fossero processi a privati individui.

La tirannia uccide e la libertà si lamenta:
e il codice fatto dagli stessi cospiratori è la legge con la quale li si giudica.

Quando si tratta della salvezza della patria, la testimonianza dell’universo intero non può supplire alla prova testimoniale, né l’evidenza stessa alla prova letterale.

La lentezza dei giudizi equivale all’impunità;
l’incertezza della pena incoraggia tutti i colpevoli.

E ci si lamenta ancora perfino della severità della giustizia:
ci si lamenta per la detenzione dei nemici della Repubblica!

Si cercano gli esempi nella storia dei tiranni, perché non si vuole sceglierli in quella dei popoli, né attingerli al genio della libertà minacciata.

A Roma, quando il console scopri la congiura e la soffocò nello stesso istante con la morte dei complici di Catilina, egli fu accusato di aver violato le forme;
e sapete da chi fu accusato?
Dall’ambizioso Cesare, che voleva ingrossare il suo partito con l’orda dei congiurati, con Pisone, con Clodio e con tutti i cattivi cittadini, i quali temevano per se stessi la virtù di un vero romano e la severità delle leggi.

Punire gli oppressori dell’umanità:
questa è clemenza!
Perdonare loro sarebbe barbarie.
Il rigore dei tiranni ha come fondamento soltanto il rigore:
quello del governo repubblicano ha invece come sua base la beneficenza.

E così, maledetto chi oserà dirigere contro il popolo quel terrore che deve riversarsi solamente contro i suoi nemici!
Maledetto chi – confondendo gli errori inevitabili della virtù civica con gli errori calcolati della perfidia o con gli attentati dei cospiratori – abbandona il pericoloso intrigante, per perseguitare il cittadino pacifico!

Perisca lo scellerato che osa abusare del sacro nome di libertà, o delle armi terribili che essa gli ha affidato, per portare il lutto o la morte nel cuore dei patrioti!

Un tale abuso si è verificato, non possiamo dubitarne.
Senza alcun dubbio, esso è stato esagerato dall’aristocrazia:
e tuttavia, se pure non esistesse, in tutta la Repubblica, che un solo uomo virtuoso, perseguitato dai nemici della libertà, il dovere del governo sarebbe quello di ricercarlo con sollecitudine e di vendicarlo quindi con clamore.

Ma dalle persecuzioni suscitate contro i patrioti dallo zelo ipocrita dei controrivoluzionari, bisogna forse concludere che dobbiamo rendere la libertà ai controrivoluzionari e rinunciare ad ogni severità?
No: questi nuovi crimini dell’aristocrazia, anzi, non fanno che dimostrarne la necessità.

L’audacia dei nostri nemici che cosa mai ci prova, se non che sono stati perseguitati con eccessiva debolezza?
Essa è dovuta, in gran parte, alla scostumata dottrina che è stata predicata in questi ultimi tempi per rassicurarli.
E se voi ascoltaste quei consigli, i vostri nemici giungerebbero al loro scopo e riceverebbero proprio dalle vostre mani il premio dell’ultimo dei loro misfatti.

Quanta leggerezza vi sarebbe nel considerare alcune vittorie ottenute dal patriottismo c ome la fine di tutti i nostri pericoli!

Gettate un’occhiata sulla nostra reale situazione:
sentirete che la vigilanza e l’energia vi sono oggi più necessarie di sempre.
In ogni dove, un odio sordo contrasta le operazioni del governo.
La fatale influenza delle corti straniere, per il fatto che è più nascosta, non è perciò meno attiva né meno funesta.

Si avverte che il crimine, intimidito, non ha fatto altro che coprire il suo cammino con maggiore accortezza.

I nemici interni del popolo francese si sono divisi in due fazioni, come in due corpi d’armata.

Esse marciano sotto bandiere di diverso colore e per strade diverse;
ma tuttavia marciano verso il medesimo scopo:
questo scopo è la disorganizzazione del governo popolare, la rovina della Convenzione, vale a dire il trionfo della tirannia.

L’una di queste due fazioni ci spinge alla debolezza, l’altra agli eccessi.
L’una vuole ridurre la libertà a baccante, l’altra a prostituta.

Alcuni intriganti subalterni, e spesso anche dei buoni cittadini ingannati, si schierano ora con l’uno ora con l’altro dei partiti:
ma i capi appartengono alla causa dei re o dell’aristocrazia, e si riuniscono sempre contro i patrioti.

I furfanti – anche quando si fanno la guerra tra loro – si odiano molto meno di quanto detestino la gente onesta.
La patria è la loro preda; si combattono per dividersela:
ma si alleano contro coloro che la difendono.

Agli uni si è dato il nome di moderati;
vi è forse più arguzia che esattezza nella denominazione di «ultrarivoluzionari» con la quale sono stati designati gli altri.
Una denominazione questa che, mentre non può applicarsi in nessun caso agli uomini di buona fede che possono essere condotti, dallo zelo o dall’ignoranza, al di là della sana politica della rivoluzione, non riesce a caratterizzare esattamente gli uomini perfidi che la tirannia assolda per compromettere, con applicazioni false e funeste, i sacri princìpi della nostra rivoluzione.

Il falso rivoluzionario è forse ben più spesso ancora al di qua che non al di là della rivoluzione.
È un moderato od è un fanatico del patriottismo, a seconda delle circostanze.

Ciò che egli penserà domani viene deciso oggi nei comitati prussiani, inglesi, austriaci e perfino moscoviti.
Egli si oppone alle misure energiche, ma egli stesso le esagera quando non ha potuto impedirle.

È severo verso l’innocenza, ma indulgente verso il crimine.
Egli arriva perfino ad accusare quei colpevoli che non sono abbastanza ricchi per poter comprare il suo silenzio, né abbastanza importanti per meritare la sua devozione;
ma si guarda bene dal compromettersi fino al punto di difendere la virtù calunniata.
Egli scopre, talvolta, complotti già scoperti, strappando la maschera a traditori già smascherati e perfino decapitati;
ma magnifica i traditori viventi ed ancora accreditati.

È sempre sollecito nell’accarezzare l’opinione del momento, e non meno attento a far di tutto per non illuminarla mai e soprattutto a non urtarla mai.

È sempre pronto ad adottare le misure più ardite purché non abbiano troppi inconvenienti;
calunnia quelle che non presentano se non dei vantaggi oppure vi aggiunge tutti quegli emendamenti che possono renderle nocive.

Egli dice la verità con parsimonia, e solamente quanto basta per acquisire il diritto di mentire poi impunemente.

Distilla il bene goccia a goccia, e versa il male a torrenti;
è pieno di fuoco per le grandi risoluzioni che non significano più niente;
ma è più che indifferente per quelle che possono onorare la causa del popolo e salvare la patria.

Concede molto alle forme esteriori del patriottismo:
attaccatissimo – proprio come quei devoti di cui si dichiara nemico – alle pratiche esteriori, preferirebbe usare cento berretti rossi, piuttosto che fare una buona azione.

Quale differenza trovate mai tra queste persone e quelli che voi chiamate «moderati»?
Sono tutti servitori, impiegati presso lo stesso padrone, oppure, se volete, complici che fingono di essere in discordia tra loro per poter meglio mascherare i loro crimini.

Giudicateli non già dalla diversità del linguaggio, bensì dall’identità dei risultati.

Colui che attacca la Convenzione nazionale con discorsi insensati e colui che la inganna per comprometterla, non sono forse d’accordo?

Colui che – con ingiusti rigori – costringe il patriottismo a tremare per se stesso, è lo stesso che invoca poi l’amnistia in favore dell’aristocrazia e del tradimento.

Un tale chiamava la Francia alla conquista del mondo, mentre non aveva altro scopo che di stimolare i tiranni alla conquista della Francia.

E quello straniero ipocrita, che da cinque anni proclama Parigi capitale del globo , non faceva altro che tradurre, in un altro gergo, gli anatemi dei vili federalisti che votavano Parigi alla distruzione.

Predicare l’ateismo non è altro che una maniera di assolvere la superstizione e di accusare la filosofia.
E la guerra dichiarata contro la divinità non è altro che una diversione in favore della monarchia.

Quale altro modo rimane per poter combattere contro la libertà?
Non vorrete mica che – sull’esempio dei primi campioni dell’aristocrazia – vi vantino addirittura le dolcezze della schiavitù ed i benefici della monarchia, oppure il genio soprannaturale dei re o le loro incomparabili virtù?

O si proclamerà forse la vanità dei diritti dell’uomo e dei principi dell’eterna giustizia?

O si esumeranno forse la nobiltà ed il clero, o si reclameranno forse i diritti dell’alta borghesia alla duplice successione?

No! È molto più comodo, invece, prendere la maschera del patriottismo, per sfigurare, con insolenti parodie, il dramma sublime della rivoluzione, per compromettere la causa della libertà con una moderazione ipocrita o con studiate stravaganze.

Anche l’aristocrazia si costituisce in società popolari;
l’orgoglio controrivoluzionario nasconde sotto dei cenci i suoi complotti ed i suoi pugnali;
il fanatismo spezza i suoi propri altari;
il realismo canta le vittorie della Repubblica;
la nobiltà, oppressa dai ricordi, abbraccia teneramente l’uguaglianza per poterla soffocare;
la tirannia, colorata dal sangue dei difensori della libertà, sparge fiori sulle loro tombe.

Se pure tutti i cuori non sono ancora cambiati, quanti mai volti si sono mascherati!
Quanti traditori non si immischiano nelle nostre faccende se non per rovinarle!

Volete metterli alla prova? Ebbene, chiedete loro dei servizi effettivi, invece di giuramenti e declamazioni.

Occorre agire?
Essi declamano.
Occorre deliberare?
Essi vogliono incominciare con l’agire.
I tempi sono pacifici?
Essi si opporranno certamente ad ogni cambiamento utile.
Sono invece tempestosi?

Essi parleranno di riformare ogni cosa, per sconvolgere tutto.
Volete reprimere i sediziosi?
Essi vi rammenteranno la clemenza di Cesare.
Volete invece strappare i patrioti alla persecuzione?
Essi vi proporranno quale modello la fermezza di Bruto.

Essi vanno a scoprire che un tale è stato nobile, proprio quando serve la Repubblica;
ma non se ne ricordano più quando la tradisce.

È utile la pace?
Essi vi mettono ben in mostra le palme della vittoria.

È invece necessaria la guerra?
Essi vantano le dolcezze della pace.

Bisogna difendere il territorio?
Essi vogliono andare a castigare i tiranni al di là dei monti e dei mari.

Bisogna riprendere le nostre fortezze?
Essi vogliono prendere d’assalto le chiese e dare la scalata al cielo:
dimenticano perfino gli austriaci, per fare la guerra ai devoti.

Bisogna sostenere la nostra causa con la fedeltà degli alleati?
Essi declameranno contro tutti i governi del mondo e vi proporranno di mettere in istato di accusa perfino il gran Mogol.

Il popolo va in Campidoglio a render grazie agli dèi per le sue vittorie?
Essi intonano lugubri canti sulle nostre sconfitte del passato.

Si tratta di doverne riportare di nuove?
Essi seminano in mezzo a noi gli odi, le divisioni, le persecuzioni e lo scoramento.

Bisogna realizzare la sovranità del popolo e concentrare la sua forza con un governo forte e rispettato?
Essi trovano che i principi del governo offendono la sovranità del popolo.

Bisogna reclamare i diritti del popolo oppresso dal governo?
Essi non parlano che del rispetto per le leggi e dell’obbedienza dovuta alle autorità costituite.

Hanno trovato un meraviglioso espediente per secondare gli sforzi del governo repubblicano:
quello di disorganizzarlo, di degradarlo completamente, di fare la guerra ai patrioti che hanno contribuito ai nostri successi.

Cercate i mezzi per approvvigionare i vostri eserciti?
Vi ingegnate a strappare all’avarizia ed alla paura le vettovaglie che esse tengono ben strette?

Essi gemono patriotticamente sulla miseria pubblica, ed annunciano la carestia.

Il desiderio nostro di prevenire il male è sempre per essi un motivo per aumentarlo.

Nel nord si sono uccisi i polli e ci hanno privato di uova con il pretesto che i polli mangiano troppo grano.

Nel meridione si è parlato di distruggere i gelsi e gli aranci con il pretesto che la seta è un oggetto di lusso e che le arance sono superflue.

Non potrete mai immaginare certi eccessi commessi da controrivoluzionari ipocriti per disonorare la causa della rivoluzione.
Credereste, voi, che nei paesi dove la superstizione ha esercitato più autorità, non contenti di sovraccaricare le operazioni relative al culto con tutte le forme che potevano renderle odiose, si è seminato il terrore in mezzo al popolo, spargendo la voce che sarebbero stati uccisi tutti i fanciulli al di sotto dei dieci anni e tutti i vecchi al di sopra dei settant’anni?

E che questa voce è stata diffusa particolarmente nell’ex Bretagna e nei dipartimenti del Reno e della Morella?

È questo uno dei crimini imputati all’ex accusatore pubblico del tribunale penale di Strasburgo.

Le follie tiranniche di quell’uomo rendono verosimile tutto ciò che si racconta di Caligola e di Eliogabalo;
ma tuttavia non possiamo prestarvi fede, neppure davanti alle prove.

Egli spingeva il suo delirio fino al punto di requisire le donne per suo uso personale:
ci si assicura, perfino, che egli abbia impiegato questo metodo per sposarsi.

Ma da dove è uscito mai – tutto d’un tratto – tutto quello sciame di stranieri, di preti, di intriganti di ogni specie, che si è sparso simultaneamente sulla superficie della Repubblica per mandare ad esecuzione, in nome della filosofia, un piano di controrivoluzione che non ha potuto essere arrestato se non dalla forza della ragione pubblica?

Concezione esecrabile, ben degna del genio delle corti straniere alleate contro la libertà e della corruzione di tutti i nemici interni della Repubblica!

È così che, ai miracoli continui operati dalla virtù di un grande popolo, l’intrigo mescola sempre la bassezza delle sue trame criminali, una bassezza comandata da tiranni che ne fanno poi materia dei loro ridicoli manifesti, per mantenere i popoli ignoranti nel fango dell’obbrobrio e nelle catene della schiavitù.

Ma che cosa possono mai fare di male alla libertà i misfatti dei suoi nemici?
Il sole, quando pure viene velato da una nuvola passeggera, per ciò stesso finisce forse di essere l’astro che anima la natura?

E le scorie impure, che l’Oceano spinge sulle proprie rive, lo rendono forse meno imponente?

In mani perfide, ogni rimedio ai nostri mali diventa un veleno:
e così, tutto quello che voi potete fare, tutto quello che potete dire, essi lo ritorceranno contro di voi:
perfino quelle verità che abbiamo or ora sviluppato.

Così, per esempio, dopo aver disseminato ovunque i germi della guerra civile con l’attacco violento ai princìpi religiosi, essi cercheranno di armare il fanatismo e l’aristocrazia con le misure stesse che la sana politica vi ha prescritto di usare in favore della libertà dei culti.

Se aveste lasciato libero corso alla cospirazione, essa avrebbe prodotto – prima o poi – una reazione terribile ed universale.

E se voi l’arrestate, essi cercheranno ancora di trarne profitto, persuadendo che voi proteggete i preti ed i moderati.

Non dovrete neppure meravigliarvi se gli autori di quel sistema sono i preti stessi, proprio quelli che avranno confessato più arditamente di tutti la loro ciarlataneria.

Se i patrioti – trascinati da uno zelo puro ma irriflessivo – sono stati talora le vittime dei loro intrighi, essi getteranno tutto il biasimo sui patrioti:
poiché infatti il primo punto della loro dottrina machiavellica è quello di perdere la Repubblica perdendo i repubblicani, così come si soggioga un paese distruggendo l’esercito che lo difende.

Così potremo apprezzare uno dei loro prìncìpi favoriti:
che è quello di considerare gli uomini come se fossero un nulla.

Una massima di origine monarchica, e che significa che dobbiamo abbandonare loro tutti gli amici della libertà.

Vi è da osservare che il destino degli uomini che cercano solamente il pubblico bene è di essere le vittime di coloro che cercano solo se stessi.

E ciò deriva da due cause: la prima è che gli intriganti attaccano con tutti i vizi del vecchio regime;
la seconda che i patrioti non si difendono che con le virtù del nuovo.

Tale situazione interna deve apparirvi degna di tutta la vostra attenzione, soprattutto se riflettete che dovete nello stesso tempo combattere i tiranni dell’Europa, – cioè un milione e duecentomila uomini sotto le armi, da mantenere, – e che il governo è costretto a correre continuamente ai ripari, a forza di energia e di vigilanza, da tutti quei mali che la moltitudine innumerevole dei nostri nemici ci ha preparato nel corso di cinque anni.

Qual è il rimedio per tutti questi mali?
Non ne conosciamo altro che lo sviluppo di quella forza generale della Repubblica che è la virtù.

La democrazia perisce a causa di due eccessi:
l’atteggiamento aristocratico di coloro che governano;
oppure il disprezzo del popolo per le autorità che esso stesso ha costituito:
disprezzo che può far sì che qualsiasi consorteria, o che qualsiasi individuo attiri a sé il pubblico potere, e conduca il popolo, attraverso gli eccessi del disordine, all’annientamento, oppure al potere di una sola persona.

L’impresa combinata dei moderati e dei falsi rivoluzionari è di sballottarsi perpetuamente tra questi due scogli.

Ma i rappresentanti del popolo hanno la possibilità di evitarli tutti e due:
perché il governo è sempre padrone di essere giusto e saggio; e, quando ha questo carattere, è sicuro della fiducia del popolo.

È bensì vero che lo scopo di tutti i nostri nemici è quello di dissolvere la Convenzione;
è bensì vero che il tiranno della Gran Bretagna ed i suoi alleati promettono al loro parlamento ed ai loro sudditi di togliervi la vostra energia e la fiducia popolare che essa vi ha meritato:
e che è proprio quella la prima istruzione impartita a tutti i loro agenti.

Ma vi è una verità che dev’essere considerata ovvia in politica:
un grande corpo investito della fiducia di un grande popolo non può perdersi se non con le sue proprie mani.

I vostri nemici non ignorano questo, così non dubitate che essi si ingegnano soprattutto a ridestare nel cuore di voi tutti quelle passioni che possono secondare i loro sinistri disegni.

Ma che cosa possono mai, essi, contro la rappresentanza nazionale, se non vengono a sorprenderci alcuni atti politicamente inopportuni, che possano fornire dei pretesti alle loro criminali declamazioni?

Essi devono dunque desiderare di avere due categorie di emissari:
gli uni, che cercheranno di degradare la rappresentanza con i loro discorsi;
gli altri che, nel suo stesso seno, si ingegneranno di ingannarla per compromettere la sua gloria e gli interessi della Repubblica.

Per attaccarla con successo sarebbe utile dare inizio alla guerra civile contro i rappresentanti nei dipartimenti che si erano resi degni della vostra fiducia, e contro il Comitato di salute pubblica. E così essi sono stati attaccati da uomini che sembravano combattersi tra loro.

Che cosa potevano fare, essi, di meglio, se non paralizzare il governo della Convenzione e schiantarne tutte le forze, proprio nel momento che deve essere decisivo per le sorti della Repubblica e dei tiranni?

Lungi da noi l’idea che tra noi possa ancora esistere un uomo solo tanto vile da voler servire la causa dei tiranni!
Ma, ancora di più, lungi da noi il crimine – che non ci sarà affatto perdonato – di ingannare la Convenzione nazionale e di tradire il popolo francese con un colpevole silenzio!

Poiché vi è questo di buono per un popolo libero:
la verità – la quale è il flagello dei despoti – è sempre la sua forza e la sua salvezza.

Ora, è ben vero che esiste ancora un pericolo per la nostra libertà, anzi l’unico pericolo serio – forse – che le resta ancora da correre.

Questo pericolo è un piano – che è davvero esistito – di riunire tutti i nemici della Repubblica, risuscitando lo spirito di parte; di perseguitare i patrioti, di demoralizzare, di rovinare i rappresentanti fedeli al governo repubblicano, di far venir meno le parti più essenziali del servizio pubblico.

Si è voluto ingannare la Convenzione sugli uomini e sulle cose;
si è voluto ingannarla sulle cause degli abusi che vengono esagerati al fine di renderli irrimediabili; si è cercato di riempirla di false paure per sviarla o per paralizzarla; si cerca di dividerla.

Si è cercato di dividere soprattutto i rappresentanti inviati nei dipartimenti ed il Comitato di salute pubblica;
si è voluto indurre i primi a contrastare le misure dell’autorità centrale per portare il disordine e la confusione;
si è voluto irritarli, al loro ritorno, per renderli, a loro insaputa, gli strumenti di una trama.

Gli stranieri mettono a profitto tutte le passioni individuali e giungono ad affettare un patriottismo abusato.

All’inizio, era stata presa la decisione di andare diritti allo scopo, calunniando il Comitato di salute pubblica:
si sperava grandemente – allora – che esso sarebbe caduto sotto il peso delle sue pesanti funzioni.

Ma la vittoria e la fortuna del popolo francese lo hanno difeso.

Dopo quell’epoca, hanno abbracciato il partito di tesserne le lodi, paralizzandolo e distruggendo il frutto dei suoi lavori.

Tutte quelle vaghe declamazioni contro i rappresentanti di diritto del Comitato;
tutti i progetti di portare la disorganizzazione, mascherati sotto il nome di riforme – già respinte dalla Convenzione – e riprodotti al giorno d’oggi con una strana ostentazione; tutta questa premura nel magnificare certi intriganti che il Comitato di salute pubblica ha dovuto allontanare;
tutto questo terrore ispirato nei buoni cittadini;
tutta questa indulgenza di cui vengono favoriti i cospiratori;
tutto questo sistema di imposture e di intrighi, di cui l’autore principale è un uomo che voi avete respinto dal vostro seno, è diretto contro la Convenzione nazionale, e tende a realizzare i progetti di tutti i nemici della Francia.

È proprio dopo l’epoca in cui quel sistema è stato annunciato nei libelli e realizzato con atti pubblici, che l’aristocrazia e la monarchia hanno cominciato a risollevare insolentemente la testa e il patriottismo è stato di nuovo perseguitato in una parte della Repubblica;
e che l’autorità nazionale ha incontrato una resistenza della quale gli intriganti cominciavano già a perdere l’abitudine.

Del resto, quegli attacchi indiretti, anche se non avessero avuto altro inconveniente che di disperdere l’attenzione e l’energia di coloro che devono portare il fardello immenso del quale li avete caricati, e di distrarli – troppo spesso! – dalle grandi misure di salute pubblica per occuparsi di sventare intrighi pericolosi, potrebbero tuttavia a buon diritto essere considerati come una diversione utile ai nostri nemici.
Ma rassicuriamoci:
è qui il santuario della verità, è qui che risiedono i fondatori della Repubblica, i vendicatori dell’umanità e i distruttori dei tiranni.
Qui, per poter distruggere un abuso, non occorre altro che indicarlo.
E quanto a certi consigli ispirati dall’amor proprio o dalla debolezza degli individui, ci basta richiamarli, nel nome della patria, alle virtù ed alla gloria della Convenzione nazionale.
Su tutti gli oggetti delle sue inquietudini e su tutto ciò che può influire sul cammino della rivoluzione, noi provochiamo qui una discussione solenne;
e scongiuriamo la Convenzione di non permettere che alcun interesse particolare e occulto possa usurpare qui la preminenza dell’Assemblea e la potenza indistruttibile della ragione.

Noi ci limiteremo – oggi – a proporvi di consacrare con la vostra approvazione formale le verità morali e politiche sulle quali deve essere fondata la vostra amministrazione interna e la stabilità della Repubblica, così come avete già consacrato i princìpi della vostra condotta nei riguardi delle popolazioni straniere.

Intorno a questi princìpi potrete raccogliere tutti i buoni cittadini e potrete togliere così ogni speranza ai cospiratori.

In tal modo darete sicurezza al vostro cammino e saprete confondere gli intrighi e le calunnie dei re.

Onorerete la vostra causa ed il vostro carattere agli occhi di tutti i popoli.

Date al popolo francese questo nuovo pegno della vostra sollecitudine nel proteggere il patriottismo, della vostra giustizia inflessibile verso i colpevoli e della vostra devozione alla causa del popolo.

Ordinate che i princìpi della morale politica che vi abbiamo or ora sviluppato siano proclamati, nel vostro nome, dentro e fuori della Repubblica.

163 giorni "dopo" Maximilien Robespierre, vittima del suo terrore, verà ghigliottinato.
Era il 28 Luglio 1794 quando la sua testa rotolerà in un insanguinato cesto di vimini.

Il testo integrale in francese è in: http://membres.lycos.fr/discours/vertu_terreur.htm


( Giorgio Comerio )

- Torna alla Prima Pagina - Back to the Front Page -

Condividi su Facebook -

- I nuovi lettori di oggi - Today new contacts -

I lettori di questa pagina sono:


WOP!WEB Servizi per siti web... GRATIS!