Niente lacrime, per favore.
Soltanto le esibizioni melense dei bimbi buoni del politicamente corrotto,
meglio se insufflato nello zucchero filato del sentimentalismo all'ingrosso,
nella loro indigesta ipocrisia, riescono a risultare più insopportabili degli sciacallaggi mediatici di un Matteo Salvini.
Per contro, onde non turbare le animelle belle del buonismo militante ed i loro pendants testicolari,
che tanto s'erano risentiti per l'assenza di peli nel trattare la precedente tournée parigina degli Isl'Amici
in trasferta europea, non pronunceremo mai la parola "guerra"...
Che altrimenti finirebbe col turbare una certa "Generazione Erasmus", come ebbe a chiamarla una volta il più improbabile dei Telemaco improvvisati.
Ed eviteremo ogni riferimento esplicito ai boia in nero;
come in un cluedo dove tutti sanno benissimo le modalità di azione, così come si conoscono altrettanto bene identità
e substrato ideologico (e complicità) dei principali 'indiziati'.
Molto meglio le faccine colorate ed impersonali da usare per il prossimo hashtag in condivisione 'virale', oppure un
Tintin piagnucoloso (siamo in Belgio!) da utilizzare per i cordogli di facciata, inutili quanto e più dei precedenti.
Je suis Bruxelles
E peccato solo per il fatto che i personaggi di Hergé avessero un approccio molto più concreto con i diretti interessati...
E ci si chiede altresì come simili enclaves abbiano potuto trasformarsi in qasbah sottratte ad ogni controllo, diventando il
recinto per l'allevamento di repellenti caproni che hanno fatto del parassitismo sociale a carico della comunità ospitante
per pubblico scrocco una vocazione professionale, magari sostituendosi alle autorità legittime.
Per spirito d'integrazione, s'intende!
"Bruxelles è la capitale islamica d'Europa.
E' da decenni la sede logistica per la rete degli attentatori e per lo smistamento degli
imam salafiti nel resto del continente.
E' il centro di reclutamento e di finanziamento delle "cellule dormienti" e dei "lupi solitari".
Sono anni che i dati statistici documentano che nell'area francofona della capitale, enclave della regione fiamminga,
il 30% circa della popolazione su un milione e 200 mila abitanti è arabo-islamica:
tra i 250 mila e i 350 mila, in maggioranza di origine marocchina (70%) e turca (20%).
Quasi tutti hanno utilizzato le leggi che favoriscono la riunificazione familiare, facendo arrivare mogli e figli.
Per quanto riguarda i celibi, oltre il 60% dei giovani marocchini e turchi si sposano esclusivamente con persone della loro stessa origine.
Un'ottantina tra moschee e minareti, Bruxelles è anche la capitale europea per la presenza massiccia di donne velate, frequenti in burqa o in niqab.
E' qui che si svolgono le manifestazioni più numerose e anche violente a favore dei palestinesi, quando Israele attacca per ritorsione
i territori occupati dagli integralisti di Hamas.
Una nota di "colore" è il record raggiunto dal 2008 dei nomi dei neonati di qualsiasi religione:
il più diffuso è Mohammed.
Secondo alcune fonti, opererebbero 200 organizzazioni di assistenza e indottrinamento, per lo più rifacentesi al
fondamentalismo salafita, oggi ritenuto il più violento e predominante tra gli adepti dell'ISIS.
La generosa politica di accoglienza e l'inclusività del welfare ha incrementato l'arrivo degli islamici arabi a Bruxelles.
Arrivano prima i maschi celibi o da poco ammogliati, che si rifugiano nei quartieri a preponderanza islamica e
vengono subito edotti sul sistema di assistenza belga, permettendo così di usufruire per molti anni dello "chomage",
il sussidio di disoccupazione, sui 600/800 euro nette al mese, compresa la sanità quasi gratuita.
Molti si danno al lavoro nero (anche se vietato per chi si trova in "chomage") per incrementare lo "stipendio sociale".
A Bruxelles, che ultimamente i media hanno ribattezzato la capitale del Belgistan, sono quasi del tutto intrivabili le normali macellerie,
mentre pullulano quelle "Halal" secondo la macellazione tradizionale araba.
Le pescherie sono in mano a marocchini e algerini, i negozi di alimentari-frutta e verdura al dettaglio sono quasi tutti
gestiti da arabi.
Sono scomparse le boulangeries e il pane è di fattezze turche (per quello tradizionale belga ci si deve rivolgere ai supermercati).
Solo i mercati rionali settimanali custodiscono ancora cibi e bevande di tradizione belga, francese e fiamminga.
[...] Su un nostro blog del 20 gennaio scorso mettevamo in guardia dall'affrontare il problema con gli occhi e i comportamenti dettati
dal "politically correct", in quanto così si alimentava lo "scontro di civiltà", anziché diminuirne l'estensione e scaraventarci inesorabilmente
verso una "guerra spezzettata" su più fronti:
quello interno, in Europa, e quello al di là del Mediterraneo, tra Siria, Turchia curda, Iraq e Maghreb, Libia compresa.
Non sono in discussione concetti come accoglienza, inclusione, generosità, scambio culturale.
In discussione è l'arrendevolezza nella difesa dei nostri valori, dei nostri stili di vita in nome di un "melting pot",
di un concetto di globalizzazione acriticamente solo positiva e innovativa.
[...] Durante e dopo l'arresto della "primula nera" Salah Abdeslam, le forze dell'ordine belghe sono state fatte oggetto di rimostranze e
contestazioni plateali da parte degli abitanti arabi di Moellebeck, sintomo dell'odio antieuropeo e della frustrazione sociale e
religiosa che lì vi albergano.
Ma è stato anche un fenomeno di lotta "resistenziale" contro le "forze di occupazione", come se si fosse in un territorio occupato palestinese.
[...] Occorre un'opera di dissuasione presso la popolazione islamica e anche di persuasione affinché escano allo scoperto,
si ribellino allo stato di soggezione e di falsa identità comune da "nazione panaraba", per tutelare le origini,
i costumi e la fede in Maometto.
Non basta più che alcuni rappresentanti religiosi e civili delle loro comunità partecipino alle rituali
manifestazioni di solidarietà e alle onoranze funebri.
L'Occidente, gli stati europei, devono affrontare questa emergenza con tutti i mezzi di
intelligence e di polizia, senza sconfinare nella repressione selvaggia.
E difendendo i nostri valori secolari, senza paura di sentirsi definire "neocolonialisti" o "razzisti".
Ma le comunità islamiche devono, da parte loro, anche "liberarsi da sole":
scendendo in piazza, magari togliendosi i veli;
manifestando contro i loro stessi "cattivi maestri" e gli imam ultraortodossi;
facendo "terra bruciata" ai terroristi nei loro stessi quartieri;
non respingendo un'integrazione che in alcuni settori della borghesia e dell'intellighenzia arabe già
si va facendo strada.
Ne va della nostra esistenza pacifica di Europei (cristiani, ebrei e islamici).
Altrimenti, ci si avviterà nel tunnel dello scontro militare fine a se stesso, foriero di fantasmi
del passato razzista, antisemita, reazionario, dittatoriale e oscurantista:
la fine stessa del grande sogno di un continente libero e inclusivo come l'Unione Europea."
Gianni Rossi
(22/03/2016)
Sempre che nel frattempo le "risorse" non decidano di castigare un po' di kuffars,
i quali per giunta hanno il gravissimo torto di non volersi proprio sottomettere ai rigori della "religione della pace",
nonostante le invitanti rassicurazioni...
Ma noi avanti tutta come Lemmings, su per la collina dei conigli..!