ref:topbtw-2771.html/ 31 Ottobre 2020/A
"L'incolmabile e spaventosa differenza fra la strage islamista nella cattedrale di Nizza e le precedenti,
in Francia e non solo, è che quelle derivavano da minuziose strategie di terroristi asserragliati nelle grotte
afghane o nel sedicente Stato del Profeta, questa deriva dall'incontinenza e dalla sconsideratezza verbale
del presidente di una nazione, la Turchia, che solo pochi anni fa ambiva all'ingresso nell'Ue, che tuttora partecipa
a organismi europei (compreso quello di tutela dei diritti umani) e che occupa un ruolo rilevante nella Nato,
la più grande organizzazione di difesa internazionale.
La precipitosa e schietta condanna dell'attentato diffusa ieri dal governo di Ankara non potrà scolorire
le parole spese dal presidente Recep Tayyip Erdo?an dopo la decapitazione del professore Samuel Paty,
colpevole d'aver esibito a scuola le vignette blasfeme di Charlie Hebdo, e dopo la vigorosa rivendicazione
di Emmanuel Macron della libertà d'espressione come caposaldo delle democrazie liberali.
Erdo?an ha dato a Macron del malato di mente, del nuovo crociato, ha paragonato le condizioni di vita dei
musulmani in Europa a quelle degli ebrei della Shoah, ha invitato i paesi islamici a boicottare i prodotti
francesi, e alcune piazze islamiche hanno risposto dando fuoco alla bandiera della République.
Eppure nel gennaio del 2015, e lo ha ricordato qui Cesare Martinetti, Erdo?an inviò il suo primo ministro a Parigi
per sfilare a fianco del presidente François Hollande, in segno di fratellanza ideale dopo la
carneficina di Charlie Hebdo.
A distanza di pochissimi anni c'è un'altra Turchia, che ambisce a essere il nuovo baricentro del mondo islamico,
compreso quello estremista, che tiene l'Europa per il collo minacciando di spianare le strade ai profughi
siriani, che allegra e indisturbata se ne va per i mari di Cipro e Grecia a cercare gas naturali, e che in
asa chiude gli oppositori in galera.
E gli europei, zitti.
Le pigre solidarietà offerte ieri alla Francia - prefabbricate e desolanti quelle di Roma - viaggiano parallele
ai nervosismi per la disinvoltura di Charlie Hebdo, imperterrita per la sua strada, compresa l'ultima
tremenda copertina su Erdo?an che solleva la gonna a una ragazza e il panorama gli ricorda Maometto.
Poi un giorno parleremo di quanta responsabilità presupponga la libertà, ma è come se oggi avessimo lasciato
a dei vignettisti bricconi la gestione della terapia intensiva dei nostri valori cruciali,
e mentre noi seguiamo annoiati il bollettino clinico del tracollo, ci scandalizziamo dei loro modi brutali
(buoni tutti a difendere il diritto di opinione quando le opinioni sono accettabili).
Oggi, a quasi sei anni dal massacro, Charlie Hebdo è ospitata in un bunker dove esercita il suo diritto di stampa,
di critica, di satira e di blasfemia.
Ma è il bunker in cui viviamo tutti noi a essere più asfissiante, ci infiliamo da soli ogni volta che
ci chiediamo - anche noi giornalisti - se usare certi termini e ripubblicare certe vignette finirà
con l'offendere la suscettibilità di qualcuno.
Se, in definitiva, metteremo a repentaglio la nostra sicurezza.
Ma una società che tiene più alla sicurezza che alla libertà su cui si è fondata è già una società morente.
In uno straordinario libro steso durante l'occupazione nazista di Parigi, il filosofo Emil Cioran descrisse
la Francia come un paese attaccato alla propria pelle piuttosto che alle proprie idee,
e dunque un paese perduto.
Ormai tutta Europa è così.
E' incapace di difendere sé, le ragioni della sua esistenza, l'inviolabile unicità dell'essere umano,
la sua facoltà di muoversi, di pensare, di parlare, di associarsi, di professare la religione che ritiene.
Si affrontano i nemici esterni e interni con la forza del balbettio.
Si rimane spiazzati, dentro un razionalismo liso, un pallido riflesso dei Lumi, al cospetto delle inquietudini
oscure e abissali dell'anima che spingono i fanatici a impugnare i coltelli e i kalashnikov.
E' una dimensione che non riconosciamo più.
La pace conquistata settantacinque anni fa, soprattutto grazie agli americani e a Winston Churchill
(oggi trattato come un razzistello fra tanti) ci sembra un dono divino, un dato di fatto non
scalfibile, e invece la pace e la democrazia si conservano soltanto se si è disposti a pagarne
le conseguenze, come successe settantacinque anni fa.
Non si tratta di invocare la guerra.
Si tratta, più banalmente, di rinunciare a qualcosa.
La sudditanza verso la Cina e verso la Turchia parlano di un'Europa terrorizzata all'idea di perdere
un contratto, un mercato, una percentuale del suo già sfibrato Pil, di doverlo spartire con altri migranti.
Ma come sapremo mai restare in piedi se siamo disposti a trattare sul prezzo dei presupposti sacri della
nostra identità?
Da più di un secolo grandi pensatori, trattati come uccellacci del malaugurio o come
eccentrici e simpatici parrucconi, o più spesso ignorati, da Oswald Spengler a Elias Canetti,
da José Ortega y Gasset a Johan Huizinga, analizzano e predicono il tramonto dell'Occidente.
Non vorrei che, piagnucolanti e tremebondi davanti al Covid e alla Jihad, stessimo finendo col dargli ragione."
Mattia Feltri
(29/10/2020)