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- 2 Ottobre - Ungheria - Referendum contro la politica migratoria Europea. -

BUDAPEST

"Volete consentire all'Ue di decidere sulla ricollocazione obbligatoria in Ungheria di cittadini non ungheresi senza il consenso del parlamento?".

E' questo il quesito che i votanti si troveranno sulle schede elettorali quando domenica i seggi apriranno per il referendum con cui l'Ungheria del premier conservatore e nazionalista Viktor Orban vuole affossare il piano di ripartizione dei migranti richiedenti asilo tra i paesi Ue tramite un sistema comune di quote, come la Commissione europea vorrebbe imporre d'imperio a tutti gli stati aderenti alla Ue.

Nei giorni scorsi Orban ha proposto di espellere i migranti in attesa di una decisione sulla loro richiesta di asilo "in una grande isola o in una zona lungo la costa dell'Africa settentrionale" come per altro fa l'Australia.

L'Ungheria fa parte di un gruppo di paesi est europei accomunati nel rifiuto del progetto sulle quote.

Il primo piano di redistribuzione deciso da Bruxelles prevedeva la sistemazione di 160mila migranti arrivati illegalmente in Grecia e Italia in massima parte e con il silenzioso placet dei rispettivi governi di sinistra, 2300 delle quali in Ungheria.

Budapest non ha mai tradotto in pratica il compito richiestole e il premier Orban ha fatto ricorrere l'Ungheria alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per contestare la decisione.

Un altro passo compiuto dall'Ungheria in uno dei momenti più drammatici dell'invasione dell'Europa da parte di orde immani di africani e mediorientali - era l'estate del 2015 - è consistito nell'edificare un muro anti-migranti lungo 164 chilometri alla frontiera con la Serbia per impedire ogni ingresso.

Per spiegarne la giustezza, il governo ungherese ha citato l'esempio delle barriere esistenti nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla.

Barriere, appunto, di filo spinato e reticolati anti invasione.

Budapest ha quindi annunciato che non avrebbe più rispettato le regole sulle richieste di asilo nell'Unione Europea, quelle della Convenzione di Dublino, e quindi che non avrebbe più riaccolto i migranti entrati illegalmente nella Ue attraverso il territorio ungherese e quindi usciti dal paese.

Ultima tappa, quella del referendum di domenica prossima, che dovrebbe dare l'ultimo colpo di piccone al tentativo di imposizione da parte della Commissione Ue di legalizzare l'invasione addirittura obbligando gli stati ad accettarla, pena sanzioni.

L'unico partito ungherese a fare apertamente campagna a favore del 'sì' a Bruxelles è quello liberale, che però ha un solo deputato in parlamento e un modestissimo seguito elettorale.

Per il 'no' si battono invece il governo di destra (Fidesz-KDNP) e il partito di estrema destra Jobbik.

A sinistra, socialisti e coalizione democratica, i partiti di sinistra, esortano a boicottare il voto, sperando che l'assenza di quorum ne infici in risultato.

In caso di vittoria - molto probabile - del no (unico dubbio è la percentuale di votanti ma l'affluenza dovrebbe superare ampiamente il 50% degli aventi diritto), Orban ne farà chiaramente uno strumento per far leva sull'Unione Europea, anche se il diritto europeo prevale sulla consultazione e in caso di violazione palese delle norme comuni il rischio che il paese corre è quello di andare incontro a sanzioni pecuniarie.

Ma non va scordato che l'Ungheria, con la Polonia, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, forma il Gruppo di Visegrad che si oppone nettamente alla Ue sui migranti e non solo.

Quindi, se la Commissione dovesse stabilire una "multa" punitiva per 'Ungheria, sa già che darebbe il là alla rivolta contro la Ue dell'intero Gruppo di Visegrad.

Se è vera l'ipotesi formulata da alcuni, secondo cui il referendum è stato voluto dal governo Orban soprattutto ad uso interno, come mezzo per accontentare l'elettorato di estrema destra anche in vista delle elezioni generali del 2018, non mancherà però di avere ripercussioni a livello europeo:
i risultati del voto potranno essere sfruttati politicamente da tutti i partiti anti-migranti alla vigilia di due importanti appuntamenti elettorali per l'Europa: le presidenziali francesi e le elezioni politiche tedesche, entrambi fissati per il 2017.

Per non dire delle presidenziali in Austria, fissate invece per il 4 di dicembre, con la possibilità estremamente concreta che a vincere sia Norbert Hofer, della nuova destra austriaca del Partito della Libertà.
E l'Ungheria, dall'Austria, è a due passi...


( Max Parisi )

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