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ref:topbtw-886.html/ 11 Giugno 2017/A



Surrealismo

"assai più fotogenico di un truce Khomeini e sempre meglio di un Mossadeq"

"Il regime degli al-Saud dovrebbe in pratica combattere la propria ombra"

Se gli effetti sul piano pratico non fossero poi tragici, ci sarebbe quasi da ridere sul rinsaldato fronte mediorientale per la lotta al terrorismo islamista e nel nome delle libertà democratiche, tramite il ritrovato flirt tra USA ed Arabia Saudita...

Cioè, da una parte abbiamo la superpotenza imperiale, specializzata in colpi di stato su scala globale, sponsor diretto e gran protettrice della quasi totalità dei più spietati regimi militari che mai abbiano insanguinato il pianeta dalla caduta del nazifascismo (e ad esso apertamente ispirati), purché servilmente funzionali agli "interessi americani" per la tutela dei quali, con ogni evidenza, serve una cintura di stati clienti dove la forma di governo migliore viene considerata la dittatura.

Perché niente garantisce più stabilità ed affidabilità di una dittatura, senza le noie di una società civile e gli intoppi di un ordinamento costituzionale che ne garantisca le libertà.

Ovvero il più invasivo complesso industriale e militare del cosiddetto "mondo libero", che più di ogni altro ha contribuito a destabilizzare il mondo non-libero, facendo dello sfruttamento capillare il metro di misura del proprio profitto;
che ha fomentato e poi coccolato l'integralismo islamico, creando di fatto il "jihadismo" come strumento armato da impiegare nelle guerre coloniale per procura dell'Impero, che ama definire se stesso la "patria delle libertà".

E peccato solo che una volta esaurita la sua funzionalità d'uso questa armata ausiliaria di askari a buon mercato, come i foederati della tarda antichità romana, non abbia tardato a dare i frutti perversi di un patto scellerato con il diavolo.

Dall'altra parte abbiamo invece uno dei più oppressivi e reazionari despotati del pianeta che ha trasformato il fondamentalismo islamico in un'ideologia politica di dominio e di infiltrazione radicale, rifornendola di mezzi e protezioni.

Collaterale quanti altri mai a quel terrorismo che finanzia alla luce del giorno e che esporta in una rete di protezioni globali, nella proiezione del wahabismo che ne sottende il corpo dottrinario inteso nell'interpretazione più cupa e reazionaria di un islam medioevale.

Il regime degli al-Saud dovrebbe in pratica combattere la propria ombra che si distende dalla longa manus della sua proiezione geopolitica.

La sostanziale differenza che intercorre tra l'ISIS e l'Arabia Saudita, per dirla con le parole dello scrittore algerino Kamel Daoud, risiede nel fatto che l'Arabia Saudita è un Daesh realizzato, un ISIS che ce l'ha fatta.

Va da sé che dopo aver distrutto l'Iraq, polverizzato lo Yemen, e smembrato la Siria, sia adesso la volta dell'Iran, che evidentemente non ha ancora aperto le sue frontiere ad una siffatta "esportazione di democrazia", vista la sua impermeabilità alle "rivoluzioni arancioni" a marchio CIA e le sedicenti "primavere" presto trasformatesi nel sonno comatoso della ragione.

È la democrazia ai tempi di Trump (as usual):
un energumeno fascista che ci spiega cosa sia la libertà, col suo codazzo di dittatori amici, entrando a gamba tesa come terzo incomodo nello scontro millenario che oppone sunniti contro sciiti, nella nostalgia dei tempi belli di un Reza Pahlavi:
assai più fotogenico di un truce Khomeini e sempre meglio di un Mossadeq


( Sendivogius )

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